La violenza sulle donne nelle separazioni e nei divorzi

violenza sulle donne e sui bambini dopo la separazione e il divorzio

La violenza sulle donne nelle separazioni e nei divorzi

Il mio intervento al convegno organizzato dal Movimento Forense in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

 

Nel preparare questo intervento mi sono resa conto che è difficile riassumere in un breve estratto un argomento che da solo potrebbe costituire il  tema di una giornata di studio che magari possiamo pensare di realizzare. Siamo tutte e tutti operatori del diritto quindi ho cercato di riassumere le problematiche che ci troviamo ad affrontare tutti i giorni nei procedimenti civili di separazione e divorzio in presenza di violenza contro le donne.

La Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne

Non posso non richiamare la Convenzione di Istanbul che ha sottolineato come la violenza contro le donne sia una – cito testualmente – “violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.

Però mi rendo conto che non esiste un automatismo di tutela quando oltre all’azione penale, la donna affronta la separazione personale o il divorzio, neanche nel caso di violenza assistita sui minori.

La separazione rende le donne libere dalla violenza?

Queste violenze, che tipicamente iniziano durante la relazione di coppia, ben prima della separazione, spesso ne rappresentano la causa. Ma è vero che la separazione rende le donne libere dalla violenza? La risposta che mi sono data è, NO!

Innanzitutto, nei casi di violenza domestica, contrariamente alle speranze di molte donne e alle aspettative sociali in proposito, la separazione rappresenta un momento di particolare rischio e questo è elemento di particolare attenzione anche per noi difensori.

Tre donne su quattro continuano a subire violenza dall’ex partner anche dopo la fine della relazione. I dati mostrano che la violenza spesso non si interrompe quando la coppia si separa e anzi, soprattutto se ci sono minori, continua e può aggravarsi dopo la separazione. In Italia, la ricerca sui femminicidi di Eures e Ansa (2014) riporta che circa due terzi dei femminicidi avviene nei tre mesi seguenti la fine di una relazione con un uomo violento.

Il ruolo della stampa nei casi di violenza sulle donne

Anche i recenti casi di cronaca degli ultimi mesi del 2020 che non richiamo perché ben noti, dimostrano che situazione precipita pericolosamente quando la donna assume la determinazione di separarsi.

Mi sento solo di dire che in questi gravissimi episodi di cronaca nera trovo vergognoso l’atteggiamento della stampa quando valorizza le qualità dell’assassino “brav’uomo, lavoratore, tutto casa e famiglia” a discapito della vittima che “non lo amava”, “voleva separarsi”, “era euforica”. Segnalo che ho appreso della regolamentazione da parte del Consiglio Nazionale dei Giornalisti con una mozione che aggiunge al testo in vigore “il rispetto delle differenze di genere”, “prestare attenzione  a evitare stereotipi di genere, espressioni e immagini lesive della dignità della persona, linguaggio rispettoso, corretto, consapevole”;  (dal primo gennaio – articolo 5 bis).

L’intento è onorevole, ma poi leggo gli articoli sulla maestra torinese vittima di revenge porn e l’entusiasmo per la notizia scema pericolosamente.

Il ruolo dell’avvocato difensore nei casi di separazione in presenza di violenza

Tornando al tema, scuserete l’inciso, all’avvio di un procedimento di separazione, anche prima dell’intervento del giudice, atteso che il momento storico non è particolarmente favorevole per la celebrazione in tempi rapidi delle udienze (a meno di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di cui poi accennerò) il ruolo del difensore diventa essenziale al fine di sensibilizzare la donna a non sottovalutare situazioni di pericolo in cui può trovarsi, anche nel quotidiano; ed essenziale risulta garantire un supporto psicologico qualificato con cui anche noi legali dobbiamo cooperare.

Violenza contro le donne e violenza sui bambini risultano così essere fortemente correlate anche dopo la separazione. È pertanto cruciale guardare a queste come a un unico, enorme problema sociale a cui dare una risposta integrata, superando, l’ipotetica “speranza” (più dei Magistrati, per la verità) che un partner violento sia comunque un buon padre e focalizzando l’attenzione sulla protezione e sulla sicurezza della donna e dei figli (che rimane principio ispiratore della Conv. di Instanbul, ma che spesso non viene adeguatamente considerato in fase contenziosa, in ragione del principio della bigenitorialità che diventa insuperabile. Ostacolo alla tutela anziché diritto).

La gestione delle situazioni di conflitto

Spesso i professionisti di area psico-sociale e giuridica falliscono nell’individuare la presenza della violenza da parte del partner soprattutto durante il processo di separazione, arrivando a decisioni potenzialmente pericolose per le donne e per i figli. La gestione delle situazioni di conflitto per l’affido dei figli in contesti in cui c’è o c’è stata violenza domestica rappresenta una situazione complessa, in cui si contrappongono logiche diverse e a volte opposte:

  • la protezione dalla violenza da una parte
  • i diritti genitoriali dei coniugi (o ex coniugi), e del padre in particolare, dall’altra.

In Italia, con l’entrata in vigore della legge 54/2006, riformata con l’introduzione della legge 219/2012 e del Decreto legislativo 154/2013, l’istituto dell’affido condiviso tra entrambi i genitori è divenuto prassi consolidata e “naturale” formulazione dell’affido. Non voglio essere fraintesa, ci mancherebbe, la legge 54/2006 seppure sotto molti aspetti  rimasta inattuata (mi riferisco alla pariteticità – assisto anche molti papà che vorrebbero essere maggiormente parte attiva nella vita dei figli e non sempre ciò è così immediato) è pietra miliare, ma l’obiettivo principale di questa legge, il garantire la continuità dei legami affettivi, attribuendo uguale importanza a entrambi i genitori, diventa, nei casi in cui la donna è vittima di violenza, un automatismo pericoloso nel corso del procedimento separativo che faticosamente viene superato.

Qui parliamo di eccezione: della situazione patologica in cui si insedia la violenza.

Che cosa accade nei casi in cui la violenza è presente?

Il quadro che emerge è preoccupante. Esistono infatti gravi limitazioni e mancanze nella valutazione sia della violenza domestica che degli abusi sui bambini e sulle bambine. Chiari episodi di violenza rischiano di spesso di essere trattati semplicemente come “conflitti tra coniugi”, offuscandone così la gravità e la responsabilità di chi li ha compiuti e rendendo inoltre legittimi degli strumenti, come la mediazione familiare, che invece sono vietati in presenza di violenza (sempre Istanbul), disposte invece con estrema facilità (forse anche con faciloneria).

L’ENORME RISCHIO è che non si arrivi a riconoscere le forme di violenza (verbale: offese, denigrazioni, utilizzo dei bambini che tornano dalla visita al padre riportando frasi “il papà mi ha detto che…”, economica: mancata corresponsione contributo al mantenimento, occultamento dei redditi, solo per citare alcuni esempi).

Oppure quando il contatto telefonico con i minori diventa strumento di interrogatorio, magari per fingere casualmente di farsi trovare nello stesso luogo al di fuori dei periodi di permanenza o di visita (“domani andate a fare la spesa?”, “andate al parco?” e magicamente si materializza il padre, spesso con scenate di gelosia – circostanze che in sede istruttoria sono difficili da valorizzate poiché si tende a sminuirle nella valutazione globale della vicenda e se per testi, con i limiti della prova).

Attenzione, non voglio essere fraintesa, sto parlando di situazioni patologiche, non della normalità in cui, al netto di un conflitto affettivo per la separazione tra i coniugi, la cooperazione tra i genitori, l’informalità della gestione nella condivisione del ruolo genitoriale è non solo auspicabile, ma un obiettivo a cui la ex coppia deve mirare per il benessere dei figli, ognuna con le proprie pecurialità ed equilibrio.

I padri violenti possono ottenere la custodia condivisa dei figli

Il grave rischio è che la violenza sulle donne (e sui bambini) spesso non venga valorizzata in sede civile, con uguali esiti dell’affidamento nei casi in cui questa sia o meno presente. I padri accusati di aver agito violenza domestica, infatti, hanno la stessa probabilità dei padri non violenti di ottenere l’affidamento condiviso dei figli. Elemento, dannoso, pericoloso e strumentale.

Inoltre, gli uomini autori delle violenze sono spesso considerati in modo più favorevole rispetto alle donne vittime della violenza; questi uomini possono infatti apparire più adatti e tentano quasi di “manipolare” gli operatori magari meno attenti e preparati solo genericamente, esprimendo il desiderio di affidamento condiviso affermando di essere fraintesi nelle loro intenzioni (“chiamo 10 volte al giorno per sentire i miei figli”).

Le madri che sollevano la questione della violenza subita e magari si pongono in modalità più aggressiva al fine di difendere i figli, invece, ricevono decisioni meno favorevoli sull’affidamento dei figli e hanno meno probabilità di ottenere l’affido esclusivo; anzi si arriva ad accusare di denigrare la figura del genitore non collocatario fino a spingersi a parlare di sindrome di alienazione parentale a carico delle madri quando i figli rifiutano di vedere il padre maltrattante (sindrome di alienazione parentale… anche su questo potremmo parlarne ore e dunque non volendo trattarlo in maniera superficiale, rimando a un prossimo evento specifico sul tema).

I servizi sociali e legali, i Colleghi, spesso non prendono in considerazione i fattori che sono rilevanti per il miglior interesse dei bambini e delle bambine, come la Child Convention on the Rights of children sottoscritta nel 1989 (20.11.89, ratificata in Italia nel ‘91 ONU). Carta che invito ad andare a rileggere, proprio per la semplicità e la profondità dei contenuti che invece sistematicamente non vengono presi in considerazione.

Inoltre, è chiaro che la violenza domestica non è né valutata né presa in considerazione nei casi di affido post-separazione. Politiche e procedure dovrebbero riflettere la complessità di questi casi, ritenere gli autori delle violenze responsabili e supportare le vittime.

Una formazione specifica sulla violenza domestica per tuti i professionisti

Serve una formazione specifica sulla violenza domestica per tutti i professionisti, avvocati e magistrati, perché se è pur vero che il diritto di difesa è costituzionalmente garantito e vige nel nostro ordinamento la presunzione di innocenza, tuttavia si deve imparare a trattare il singolo caso e non la moltitudine.

I tribunali in sede civile non sempre riconoscono la violenza maschile contro le donne come una grave violazione dei diritti umani. Nelle sentenze, la violenza viene narrata nel fatto in maniera mitigata o distorta, liquidata frettolosamente, spesso confusa con il conflitto o come una reazione dell’uomo a una “provocazione” della vittima che viene ritenuta corresponsabile della violenza o del conflitto della coppia.

Il Comitato del Consiglio dei Ministri d’Europa, nella procedura di verifica sul sistema antiviolenza italiano, questo dal 2018, seguito alla condanna della Corte di Strasburgo per il caso Talpis (anno 2017), ha giudicato l’Italia inadempiente e incapace di garantire l’accesso alla giustizia per le vittime di femminicidio. Si tratta di una questione scaturente da un reato, l’uccisione del figlio che stava difendendo la madre da un’aggressione del padre. Però il principio mi ha fatto molto riflettere, andando a rileggere il caso per preparare l’intervento di oggi.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato per la prima volta l’Italia in materia di violenza di genere per mancato rispetto da parte dello Stato dell’obbligo di assicurare le necessarie condotte positive.

 

Violenza contro le donne nella separazione e nel divorzio